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Thing.net
chiuderà, per censura
Cresce
in rete l'onda di indignazione per l'imminente
chiusura di The Thing, provider storico punto di
riferimento per gli artisti e gli attivisti
newyorkesi. Centinaia i siti a
rischio | |
Una censura pesante (pagina 1
di 2)
14/01/03 - News
- Roma - Ieri è arrivato l'allarme anche dalla
rivista italiana Torazine, che ha aggiunto la propria
voce ai tantissimi che anche nel nostro paese stanno
cercando di dare una mano a The Thing, che ospita
centinaia di siti di artisti e istituzioni prestigiose
come il MoMa e che sta per chiudere. Causa censura. Un
caso clamoroso che attira le ire di mezza rete su Verio
(NTT) che ha deciso di chiudere la banda a The Thing
su pressioni di Dow Chemical.
Ma
ecco tutta la vicenda come viene raccontata dal
comunicato che sta girando in questi giorni:
Il
provider di banda alta Verio, di proprietà della
giapponese NTT, ha deciso di rescindere il suo contratto
commerciale con il provider thing.net. La decisione -
comunicata verbalmente dagli avvocati di Verio al
chairman di The Thing Wolfgang Staehle sarà esecutiva il
28 febbraio e provocherà la sconnessione dello storico
server di artisti ed attivisti newyorkesi da Internet.
Attualmente The Thing ospita centinaia di siti di
artisti, ma anche di istituzioni artistiche prestigiose
come il MoMa, il PS1, network come Nettime e collettivi
di base come Tenant (a sostegno degli inquilini
newyorkesi), gruppi di attivisti come RTMARK) ed
Electronic Disturbance Theater e case editrici come
Autonomedia.
DOW CHEMICAL VS YES MEN
La
vicenda ha inizio il 3 dicembre scorso, quando un gruppo
di attivisti che si fanno chiamare gli Yes
Men mettono online il sito dow-chemical.com. Si
tratta di una parodia del sito ufficiale della Dow
Chemical, corporation che ha recentemente assorbito
la Union Carbide, responsabile dei circa 20.000 morti
seguiti al disastro di Bhopal del 1984. Nel falso comunicato stampa che
accompagnava il lancio del sito, la Dow spiegava le
ragioni per cui l'azienda è responsabile unicamente
verso i suoi azionisti e non verso i cittadini e il
territorio indiano.
Alla parodia, la Dow reagisce
con scarso umorismo. Il giorno successivo invia una
notifica basata sul Digital Millennium Copyright Act
(DMCA) al provider di banda alta Verio. Come già
avvenuto in passato, Verio si rivolge immediatamente a
The Thing, che ospita il sito degli Yes Men. Non
trovando immediata risposta, lo chiude "preventivamente"
sulla base dei poteri conferitigli dal DMCA. Il giorno
dopo gli Yes Men decidono di rimuovere le pagine
contestate e The Thing può tornare online. Ma
l'offensiva della Dow non si ferma.
Il 6 Dicembre
la corporation entra in possesso del dominio
dow-chemical.com, facendo pressioni sulla società di
registrazione gandhi.net. Nel giro di poche ore i
contenuti di dow-chemical riappaiono su un server
australiano, tutt'ora attivo, insieme a decine di altri
mirror.
Ma Verio non è soddisfatta. E dopo aver
ricordato a The Thing le precedenti violazioni del DMCA
(come nel caso della Toywar quando il provider venne
chiuso per tre ore) decide di terminare unilateralmente
il suo contratto con The Thing. È bene ricordare che
questa decisione non segue alcun ordine della
magistratura, ma viene assunta dal"padrone di casa"
sulla base di un regolamento interno che non può essere
contestato dall'inquilino.
A questo punto a The
Thing restano meno di due mesi per trovarsi un altro
provider di banda alta.
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